Centomila anni fa la popolazione umana, che contava poche migliaia di
individui, ha rischiato l'estinzione. I fattori che hanno permesso di
superare questa fase critica non sono ancora chiari e le ipotesi sono
diverse. Ora uno studio suggerisce che i nostri antenati potrebbero aver
superato quel collo di bottiglia grazie a una mutazione genetica che ha
conferito una migliore protezione contro patogeni che causano
gravissime infezioni nei neonati della nostra specie.
Proprio ai suoi albori, la nostra specie è stata a un passo
dall’estinzione: si stima infatti che fra 200.000 e 100.000 anni fa la
popolazione dei nostri antenati sia crollata fino al limite critico di
10.000, forse addirittura 5000 membri. Poco dopo, però, si è verificato
un boom demografico che ha indotto gruppi di uomini a diffondersi sempre
di più nel continente africano prima, e a colonizzare il resto del
mondo poi.
Che cosa aveva provocato quel “collo di bottiglia”
nell’espansione della nostra specie e che cosa ha permesso di superarlo?
Le ipotesi proposte sono molte: dagli sviluppi culturali, come lo
sviluppo del linguaggio, ai cambiamenti climatici, fino ad altri eventi
naturali catastrofici, come un'imponente eruzione vulcanica. Ora una
ricerca condotta da un gruppo internazionale di biologi e
paleoantropologi – fra i quali Martina Lari, Ermanno Rizzi, Carlotta
Balsamo, Giorgio Corti, Gianluca De Bellis e Laura Longo, delle
università di Firenze, Milano e Siena - propone un nuovo fattore
significativo: le malattie infettive.
In un articolo pubblicato sui “Proceedings of National Academy of Sciences”
spiegano infatti che proprio 100.000 anni fa nella nostra specie si è
diffusa una mutazione che ha portato all’inattivazione di due geni
legati al sistema immunitario, conferendo una migliore protezione da
alcuni ceppi batterici patogeni, come Escherichia coli K1 e streptococchi di gruppo B, che costituiscono la principale causa di morte nel periodo prenatale e nei neonati.
"In una piccola popolazione, una singola mutazione può avere un grande
effetto, un allele raro può arrivare ad avere una frequenza elevata", ha
detto Ajit Varki, dell’Università della California a San Diego, che ha
coordinato lo studio.
"Abbiamo scoperto due geni che sono non
funzionali negli esseri umani, mentre lo sono nei primati più prossimi a
noi, e che avrebbero potuto essere l’obiettivo di batteri patogeni
particolarmente letali per neonati e bambini. La morte dei più piccoli
può avere un impatto significativo sulla capacità riproduttiva. La
sopravvivenza della specie può quindi dipendere dallo sviluppo di una
resistenza al patogeno o dall’eliminazione delle proteine che il
patogeno sfrutta per prendere il sopravvento."
Ed è proprio
questa seconda possibilità che secondo i ricercatori si è verificata nei
nostri antenati. In particolare, gli autori dello studio indicano
l'inattivazione di due recettori per l’acido sialico che modulano le
risposte immunitarie e fanno parte di una grande famiglia di geni che
sarebbe stata molto attiva nell'evoluzione umana. In particolare, hanno
scoperto che il gene che codifica per la proteina Siglec-13 non fa più
parte del nostro genoma, anche se rimane integro e funzionale negli
scimpanzè, i nostri cugini evolutivi più vicini. L'altro gene siglec
- che codifica per la proteina Siglec-17 - è ancora espresso negli
esseri umani, ma sembra leggermente modificato e produce una proteina
più corta, priva di utilità per gli agenti patogeni invasivi.
In
un esperimento insolito, gli autori dello studio hanno "resuscitato"
questi "fossili molecolari", scoprendo che quelle proteine sono
riconosciute dagli attuali ceppi patogeni di Escherichia coli e dagli streptococchi di gruppo B.
http://www.lescienze.it/news/2012/06/05/news/evoluzione_uomo_infezioni_geni_inattivati_antenato_escherichia_streptococchi_collo_di_bottiglia_demografico-1064343/
BioMass
martedì 5 giugno 2012
mercoledì 23 maggio 2012
In principio fu la cellula?
La cellula, l'unità fondamentale della materia vivente, come asserisce questo video, ma ne siamo proprio così sicuri?
I virus sono già da considerare una eccezione a questa definizione, ma potrei parlare anche di virioni e prioni, tutte entità strutturalmente differente dalla cellula, e non rappresentano una forma di vita? non rispettano le stesse leggi evoluzionistiche? non cercano di riprodursi anche loro?
Ma un quesito su tutti è questo: siamo sicuri di aver tra le mani la formula per riconoscere inequivocabilmente una forma di vita? o la vita può avere forme ancora più diverse di quelle che conosciamo?
Nei vari post cercherò di interrogarmi e interrogarvi su questi quesiti e non solo, perchè diciamoci la verità, quello che l'uomo ha sempre bramato conoscere è la sua origine come essere vivente. E questo si riallaccia alle domande di prima, cosa ci rende dei viventi? la struttura pluricellulare? la sola cellularità? il Dna?le proteine? Probabilmente la risposta al titolo del post è NO!
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